GIANNI DE TORA

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2006 Pica Gallery, Napoli 27 novembre 4 dicembre

"I LOVE LEONARDO"

 
ARTICOLO DI DANIELA RICCI SU " IL MATTINO" DI NAPOLI DEL 30.11.2006

L'ESPOSIZIONE

De Tora, un omaggio al genio di Leonardo

Dopo il successo dell'antologica al Maschio Angioino e della mostra itinerante «Celebration of Geometric Art» presentata in Italia, Francia e America, Gianni De Tora ritorna ad esporre a Napoli nello spazio Pica Gallery, in via Vetriera 16, con una selezione di opere inedite dedicate a Leonardo da Vinci, grande genio da sempre ammirato dall'artista partenopeo. Intitolata «I love Leonardo», l'esposizione è un percorso che invita i visitatori ad un dialogo con i segni più intensi di Leonardo veicolati dal linguaggio geometrico di De Tora. «I colori primari e le forme elementari della geometria - spiega l'artista - sono sempre presenti nel mio lavoro. Esiste in me una forte volontà di partire dall'essenza delle cose». Già dal 1966 De Tora realizza il primo «modulo leonardesco» che rappresentava l'uomo al centro dell'universo con le braccia aperte. Le figure geometriche adoperate nelle opere in oltre trent' anni di attività intendono indagare i pensieri e le poetiche ideali da ricercare nella rappresentazione di un mondo nuovo, inteso come specchio della modernità dove tecnica e creatività artistica possono incrociarsi nell'interesse globale per tentare di uscire dalla babilonia della contemporaneità e dai rischi dell'entropia. Così, ammirando i lavori presentati - realizzati negli anni con tecnica mista su carta e tela - il visitatore inizia il suo «viaggio» alla scoperta dell'artista. De Tora inizia la sua ricerca con il periodo figurativo del '60-'61, quando era impegnato politicamente e con diversi materiali realizzava atmosfere irreali e rarefatte. Subito dopo, entra nel periodo informale, fase durante la quale l'esplosione della ricerca porta l'artista alla piena gestualità e ad una sorta di critica al mondo contemporaneo. «Dopo l'esperienza figurativa e informale in cui già avvertivo l'esigenza di ripartire il campo di indagine - continua De Tora - che accoglieva segni e tracce in scansioni geometriche, ho iniziato ad analizzare il problema dell' organizzazione dei segni percepiti deputando la struttura geometrica a campo totale di indagine». Durante l'inaugurazione della mostra, aperta fino al 4 dicembre, è stato presentato il nuovo calendario di De Tora, mentre Giuseppe Bilotta ha letto la lettera che Leonardo scrisse nel 1482 a Ludovico il Moro.

 
REDAZIONALE APPARSO ON LINE SUL SITO NAPOLI.COM DI NOVEMBRE 2006

"I love Leonardo" alla Picagallery

27 november - 4 december

Dopo il grande successo della mostra antologica svoltasi al Museo Civico Castelnuovo- Maschio Angioino, promossa dal Comune di Napoli, la mostra itinerante "Celebration of Geometric Art" al Museo Bargellini (Pieve di Cento-Bo), Museo Madì (Dallas -Usa), Galerie Lumiére (Parigi), Museum Leepa-Rattner (Florida- Usa), l'interessante partecipazione al Miart di Milano 2005 con opere dedicate alle Torri gemelle di N.Y. dove l'artista ha recentemente soggiornato, Gianni De Tora presenterà alla Picagallery una selezione di opere dedicate a Leonardo da Vinci, grande genio da sempre ammirato dall'artista napoletano. Le opere, realizzate con tecnica mista su carta e tela, invitano il fruitore ad un dialogo con i segni più intensi di Leonardo veicolati dal linguaggio geometrico dell'artista De Tora. La critica più attenta ha seguito la sua ricerca con saggi e monografie di notevole spessore culturale.

 
locandina / comunicato stampa
 
TESTO DI UGO PISCOPO PRESENTATO IN OCCASIONE DELLA MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA PICA NEL 2006 E RIPROPOSTO NELLA CARTELLA D'ARTISTA NEL 2013/2014 IN OCCASIONE DELLA MOSTRA ITINERANTE-ANTOLOGICA “TERRITORIO INDETERMINATO”

GIANNI DE TORA I LOVE LEONARDO-

Le geometrie fanno all’amore


Come hanno messo a nudo i surrealisti, anche i numeri fanno all’amore, hanno simpatie e antipatie fra di loro, non possono sottrarsi a richiami profondi per giochi e avventure imprevedibili che li trascinano in gorghi vertiginosi e in situazioni irreversibilmente compromettenti. Ad analoghe corrispondenze d’amorosi sensi sembrano esposte le geometrie che da oltre trent’anni Gianni De Tora inquisisce come materiale linguistico ed espressivo per la rappresentazione, o, meglio, per la costruzione di un nuovo universo, che è innanzitutto suo, cioè dell’artista, ma che è ipotizzato come lo specchio della modernità, di una modernità dove tecnica e creatività artistica possono, devono andare a braccetto nell’interesse universale, cioè per un’uscita dalla babilonia della contemporaneità e dai rischi avvolgenti dell’entropia. E’ sul filo, dunque, del rasoio di un calcolo progettante che si muove la mimesi di De Tora, impegnata anche a coniugare l’imminenza ineludibile del futuro con le incalzanti richieste di risarcimento prodotte da un passato niente affatto pacificato o disponibile all’archiviazione. E queste ricerche di pareggiamenti e di dialoghi nei carrefour clamorosi e assordanti del presente tra forme irrefutabili di lontananze, che si chiamano e si cercano allo spasimo, l’artista le affida a figure, quali quelle geometriche, che simultaneamente mettono in circolo l’arcaicità nel’efficientismo rigoroso delle moderne tecnologie e viceversa. Che cosa, infatti, vi è di più stringente sui versanti linguistico e simbolico delle figure geometriche per attraversamenti e trasfert dalla primordialità alla nostalgia del futuro assunta e scandita sotto forme e per articolazioni meccaniche e automatiche? In esse, è il passato che ritorna con i suoi enigmi, con i suoi crittogrammi basici, o è il futuro che riscopre l’indistruttibile, la perenne attualità di un alfabeto che transita attraverso le culture e le epoche come aprioristica condizione per la relazionalità col mondo, sui terreni della cognitività e della espressività? Le figure geometriche, però, sono interrogate e adoperate dall’artista, certamente secondo un orizzonte di attesa complessivo di collaborazione a cercare varchi per il complicato e scompensato nostro mondo contemporaneo alla speranza sostenibile innanzitutto da calcoli della ragione dialettica, ma anche con cedevolezza ai colori del tempo, al declinarsi delle stagioni. De Tora, così, consegue un duplice risultato positivo, mantenendo fede a un’opzione fondamentale di concretismo geometrico fatta sulla fine degli anni sessanta e confermata nel corso dei fermentanti anni settanta del secolo scorso e insieme svolgendo in proprio un discorso mai pregiudizialmente bloccato su formule risolutive e definitive. E’, questa, naturalmente una posizione, che merita ammirazione ed elogio sul piano ideale, ma che è duramente fatta pagare all’interessato da un contesto cinicamente costituito su olistici processi di reificazione dei prodotti (materiali e ideali) e sulle oscillazioni del gusto strumentali al potenziamento del mercato. A me personalmente, però, la partecipazione al movimento concretista e il serio e duraturo radicamento in esso di De Tora, se risultano cospicui e significativi, non appaiono così interessanti come lo stile elaborato dall’artista nel corso del tempo di interpretazione di quei canoni e di mimesi della condizione di vita straniata e straniante del mondo contemporaneo. Perché, non solo nel caso di De Tora, ma sempre, la lettura critica della/e vicenda/e di un artista, non può non tener conto dei progetti (che una volta si chiamavano “le poetiche”) e delle griglie ideali su cui il singolo operatore appoggia il suo fare, ma non può limitare la sua attenzione a questo solo ambito, che pertiene alle ideologie e un po’ anche all’antropologia, e riguarda marginalmente e ancillarmente il discorso sull’arte. La quale, invece, va cercata nei modi genuini e peculiari con cui si risponde alle intenzioni dell’arte, - e si sa che tra il dire e il fare ci può essere di mezzo il mare. Per entrare nei segreti della poiesi di Gianni De Tora, occorre procedere à rebours, partendo dalla sua ultima produzione. Sul conto della quale, si registra pressoché totale concordia tra i critici nel ravvisare e nel sottolineare un acuirsi da parte dell’artista dell’ascolto del profondo, delle dimensioni impalpabili e inquietanti, dell’alterità. Questo atteggiamento è sembrato maturarsi e nettamente esprimersi nel corso degli anni novanta, che era anche l’ultimo decennio di un secolo e di un millennio tumultuosi e drammatici e che nella sua curvatura di fine di una sequenza cronologica non poteva non indurre fisiologicamente effetti di malinconico ripiegamento esistenziale e pensieri sulla fine di un mondo/del mondo (come forse non inopportunamente si può adattare l’assunzione di Derrida secondo cui l’esperienza di una fine è l’esperienza della fine). In un affettuoso componimento poetico, uno dei suoi ultimi, Pierre Restany, ad esempio, intercetta nella più recente fase di attività di De Tora la proiezione a “vivere il visivo senza fondo”, proiezione che si manifesta attraverso un’immateriale presenza di “spettri gestuali” che “incrinano la gravida maestà / dei triangoli inversati” e attraverso lo scatenamento del “virus dell’ironia” che agisce da “anticorpo della logica discorsiva”. Gillo Dorfles, più familiarmente, rileva nel 1998 nelle ultime geometrie, che vogliono essere quasi architettoniche di De Tora “un’apertura verso l’indeterminatezza e l’asimmetria”, una specie di via “più pronta ad adeguarsi all’epoca – così drammatica e poco equilibrata – in cui viviamo”. E su questo medesimo asse di lettura si dispongono altri interventi, come quello di Giorgio Agnisola, sempre del 1998, che parla di uno sguardo rivolto verso “una sorta di finestra su di un universo nuovo, una dimensione oltre”, o come quello di Vitaliano Corbi del 2003 per la grande mostra a Castel Nuovo dedicato, con estrema finezza, alla “dolce angoscia” delle geometrie, o come quello rigorosamente argomentato di Mario Costa. In realtà, l’attenzione per l’oltre o per l’alterità, se nell’ultima produzione acquista visibilità e suggestione quasi incalzante, se non incombente, lievita anche agli inizi del concretismo geometrico di De Tora, se Del Guercio nel 1970 può fissare la sua osservazione su un messaggio sospeso nelle sue geometrie “nella tensione fra fantasticheria spaziale e dolente realtà terrena”. Se io stesso, nel 1979, in una nota assumevo come centrale la cifra dell’utopia, che nelle sue interfacce registrava l’impossibilità del possibile del progetto e il rischio del crollo dell’azzardo su uno sfondo oscuramente inquietante. In sostanza, il concretismo geometrico di De Tora è stato sempre un’arma a doppio taglio: di qua la diurnità della ragione, di là la notturnità del conturbante (sempre suggerito, mai nominato o chiamato in scena). Questo muoversi di De Tora come sulla soglia, che mette in comunicazione fra loro due universi complementari, ma non omologhi, risulta decisivo nelle opere di questa mostra. Le quali, va sottolineato, appartengono all’ultimo decennio del secolo scorso e ne assorbono, anche se forse inconsapevolmente, lo Zeitgeist, ma tuttavia aprono squarci sulla speranza di memoria del futuro e di futuro del passato: per citazioni, per ossimori, per intercambiabilità di tessule musive, per compiaciuti sorrisi scambiatisi allo specchio fra parole e cromie. Per il gioco delle variazioni dell’identico sul versante delle geometrie di base. Per gli incontri confirmatori con gli scandagli, ma anche con i divertimenti mentali e formali di un mago delle geometrie, quel Leonardo, a cui De Tora ha sempre tenuto rivolto lo sguardo, con rispetto, ma anche con affetto, fin dagli anni della giovinezza, fin da opere dei primi anni sessanta. In queste opere, le geometrie (fondamentalmente triangoli, cerchi e quadrati) cercano innanzitutto sé stesse, per sorprendersi in atteggiamenti ancora non inventariati e da indagare, poi per darsi appuntamenti, un po’ in pubblico, un po’ in qualche atelier privato, per discutere, per esaminare ipotesi, per tenersi anche allegre, o per stare insieme. Sono geometrie innamorate, disposte forse anche ad accettare un giro di tango con qualcuno di noi, se a qualcuno viene la fantasia di invitarle.

 
foto di repertorio
 
 
 
 
 
 
 
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